Pubblicato su SUDLOOK
“I grappoli sembravano disegnati”. È il ricordo di qualche produttore dell’annata 2017 – una delle ultime più favorevoli sull’Etna – che è stata anche la prima vendemmia per alcuni ‘nuovi’ vignaioli.
Per chi non lo sapesse l’Etna non è solo cantine storiche, personaggi blasonati del mondo del vino e grossi gruppi imprenditoriali; è fatta anche di tante piccole realtà che con tanta passione provano a narrare un territorio complesso come quello etneo e interpretano un’annata secondo la propria filosofia produttiva. Parliamo di realtà che mediamente coltivano tra i due e i quattro ettari di vigna, spesso ereditate, che – in alcuni casi – hanno smesso di conferire il racconto a grandi cantine per dedicarsi a una propria produzione.
Se dovessimo fare un identikit del vignaiolo etneo sarebbe forse informale, passionale e curioso. Fortuna vuole che queste piccole realtà siano animate anche da tante donne, con davvero tanta passione e la dedizione che solo loro sanno dare.
I loro, sono racconti fatti di sudore, terra mangiata e cura per la vite intesa come elemento di un ecosistema più ampio: la tutela della biodiversità del territorio, la volontà di ridurre al minimo gli interventi in vigna come in cantina, dove non c’è posto per le chiarifiche, filtrazioni e si preferisce affidarsi alle fermentazioni spontanee piuttosto che usare lieviti selezionati. Argomenti che fanno vibrare i forum e i gruppi nei social per chi vive con i toni del partigiano il proprio approccio al vino (così come tutto il resto). “Semplicemente” un’interpretazione diversa di quello che può essere un territorio, un vitigno e un modo di vinificare.
Per la prima volta, grazie all’impegno e alla passione di Agata Arancio, vicepresidente siciliana di Fondazione Italiana Sommelier, quattordici vignaioli dell’Etna si sono ritrovati in degustazione. ‘Piccolo è bello’ titolo dell’evento inserito nel palinsesto della ViniMilo 2019 che racchiude un po’ il significato e la motivazione di una serata fatta di confronto sulle esperienze e sui contenuti dei calici proposti.
In degustazione quattordici rossi – tutti 2017 (a eccezione del vino proposta dall’azienda Scirto) – per raccontare le interpretazioni di Etna di queste produzioni ridottissime: in alcuni casi vengono prodotte qualche centinaio di bottiglie. Vini frutto di vigne allevate in modi differenti che fanno i conti con grandi sforzi di chi ha risorse limitate e spesso difficoltà a recuperare quanto necessario in produzione.
Realtà – quella dei vignaioli etnei – che deve rapportarsi con un territorio che ancora non ha ben percepito, a differenza dei mercati, il potenziale dell’Etna. Risorse limitate e costi di realizzo elevati fanno lievitare i prezzi delle etichette, così come le lavorazioni spesso ottenute manualmente. ‘Artigiani del vino’ è forse il filo rosso che guida queste interpretazioni simili nelle diversità. Nessun conflitto tra i vini detti convenzionali e (anche se non mi piace il termine) ‘naturali’ del vulcano. Il principio che che trionfa in modo indiscusso, a maggior ragione per chi si approccia alla produzione sull’Etna è ‘essere eccellenza, avere una propria identità e interpretazione’. Così, senza difetti e scuse.
L’eccellenza dovrebbe essere una prerogativa che ogni cliente, ogni consumatore dovrebbe pretendere. È la rotta da seguire per un territorio limitato come quello dell’Etna. D’altronde, per fare un vino scadente sul nostro vulcano bisogna impegnarsi.